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1961-1970: Trionfi e tragedie

Sport &  Medicina, 150 anni della nostra vita

1961-1970

Trionfi e tragedie

 


Gli anni Sessanta, per molti versi gloriosi, sono anche i più tragici per l'automobilismo italiano. L'incidente più grave è del settembre 1961, a Monza, dove si corre il Gran Premio di Formula 1. La Ferrari ha in pista due bolidi affidati al tedesco Wolfang von Trips e all'americano Phil Hill, entrambi in corsa per il titolo mondiale. L’autodromo è gremito. C'è aria di festa che diventa invece tragedia quando Von Trips esce di pista e la sua Ferrari finisce in mezzo alla folla. Il trentatreenne pilota tedesco muore sul colpo e con lui 14 spettatori. È l'incidente più grave mai avvenuto su una pista italiana. Sei anni dopo un'altra tragedia si abbatte sulla Ferrari: il 7 maggio 1967 il pilota milanese Lorenzo Bandini esce di strada durante il Gran Premio di Montecarlo e rimane prigioniero nell'auto in fiamme. Prontamente soccorso, presenta ustioni in tutto il corpo e morirà dopo tre giorni di straziante agonia. L'Italia è sconvolta, lo sport automobilistico è sotto accusa. A peggiorare le cose arrivano altre due morti dolorose, quella di un altro milanese, Geki Russo, avvenuta nello stesso anno sul circuito cittadino di Caserta e quella del torinese Ludovico Scarfiotti morto nel 1968 durante le prove di una corsa in salita a Rossfeld al volante di una Porsche. Enzo Ferrari decide allora di non ingaggiare più piloti italiani e si ricrederà solo 21 anni dopo, quando a Maranello approderà Michele Alboreto.

Il calcio incide a caratteri cubitali una data nella sua storia ultracentenaria: il 18 giugno 1970 è il giorno di Italia-Germania a Città del Messico, valutata la partita più emozionante di tutti i tempi. Allo stadio Azteca va in scena la semifinale dei Mondiali. L'Italia, guidata da Ferruccio Valcareggi, va in vantaggio con Boninsegna. La Germania pareggia all'ultimo minuto con Schnellinger (che gioca in Italia, nel Milan) e si va ai supplementari. Passa in vantaggio la Germania per un'autorete di Poletti, pareggia Burgnich, poi Riva segna il 3-2 per l'Italia, ma il centravanti tedesco Muller realizza il gol del 3-3. Neanche il tempo di riportare il pallone a centrocampo e Boninsegna vola sulla sinistra, mette al centro e Gianni Rivera segna il 4-3 che passa alla storia. Il calcio italiano degli anni Sessanta è contraddittorio. Deludente a livello di Nazionale (la partita appena raccontata rappresenta un'eccezione e comunque non portò al titolo perché la finale col Brasile di Pelè terminò con una sconfitta per 4-1 e una furiosa polemica per la beffa subita da Rivera, utilizzato da Valcareggi soltanto negli ultimi sei minuti della partita) fa invece registrare grandi successi a livello di club. Il Milan vince nel 1963 la prima Coppa dei Campioni, sconfiggendo a Wembley il Benfica di Eusebio, imitata l'anno successivo dall'Inter che batte in finale il mitico Real Madrid. Sono gli anni della Grande Inter di Helenio Herrera e del Milan di Nereo Rocco, della rivalità Mazzola-Rivera, ma anche delle deludenti eliminazioni al primo turno della Nazionale ai Mondiali del Cile (1962) e a quelli inglesi (1966), quando gli azzurri di Edmondo Fabbri vengono sbattuti fuori dalla Corea del Nord per un gol messo a segno dal dentista Pak Do Ik.

Felice Gimondi ha soltanto 23 anni quando, nel 1965, prende parte al Tour de France. Il suo compito è quello di fare da scudiero al suo capitano Vittorio Adorni, che ha appena vinto il Giro d'Italia e sogna di ripetere la magica doppietta Giro-Tour. Ma quando Adorni va in crisi sui Pirenei ed è costretto al ritiro Felice Gimondi prende in mano la corsa e, con lo stesso coraggio e il temperamento già espressi l'anno precedente quando si era aggiudicato il "Tour dell'Avvenire" riservato ai dilettanti, arriva in giallo a Parigi davanti a Raymond Poulidor, l'eterno secondo del ciclismo mondiale. È nato un campione. Gimondi vincerà in carriera tre Giri d'Italia (1967, 1969 e 1976) e un campionato del mondo (1973). E chissà quante altre vittorie avrebbe conseguito se sulla sua strada non avesse incrociato lo "squalo" Eddie Merckx.

Trentaquattro anni dopo Primo Carnera, il leggendario Madison Square Garden di New York celebra il trionfo di un altro pugile italiano: Nino Benvenuti, già medaglia d'oro alle Olimpiadi di Roma del 1960, il 17 aprile 1967 si laurea campione del mondo dei pesi medi battendo il nero americano Emile Griffith. In precedenza Benvenuti era già stato campione mondiale dei pesi medi junior battendo un altro italiano, Sandro Mazzinghi. Ma naturalmente conta di più la corona vinta in America e l'Italia esulta. Secondo gli esperti della "noble art" Benvenuti è il miglior pugile italiano di ogni tempo. Non tutti sono d'accordo. In particolare l'affermazione viene contestata dai tifosi di Duilio Loi. Triestino trapiantato a Milano, Loi è dotato di una tecnica sopraffina. La sua è una vera e propria danza sul ring e Milano impazzisce di gioia quando, nel 1960, diventa campione del mondo nella categoria dei welter junior battendo il portoricano Carlos Ortiz a Milano. Due anni dopo Loi perde il titolo in America per mano di Eddie Perkins ma pochi mesi dopo si prende la rivincita in un match memorabile sul ring di Milano. È un decennio d'oro per il pugilato italiano. Nel 1965, infatti, arriva un altro titolo, quello dei pesi mosca conquistato dal sardo Salvatore Burruni ai danni del thailandese Kingpetch.

Le spedizioni olimpiche del 1964 e del 1968 sono deludenti. A Tokio brilla la stella di un ginnasta, Franco Menichelli, che vince l'oro negli esercizi a corpo libero; a Città del Messico esplode un tuffatore, Klaus Di Biasi, che si ripeterà nel 1972 e nel 1976, sempre dalla piattaforma di dieci metri, ma il contorno, in entrambe le edizioni, è sconfortante. Particolarmente deludente la partecipazione ai Giochi di Città del Messico con tre sole medaglie d'oro (il ciclista Vianelli e il "due con" di canottaggio oltre al già citato Di Biasi). Vanno meglio i Giochi invernali di Grenoble del 1968, dove Franco Nones si aggiudica l'oro nella 30 chilometri di fondo, Erica Lechner quello dello slittino e l'Italia intera scopre il bob. Merito di Eugenio Monti, il "rosso volante", che vince due medaglie d'oro, nel bob a due e nel bob a quattro.

 

 

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