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1871-1880: il “miracolo” di Golgi

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1871-1880

Il "miracolo di Golgi"

 


Il massimo fisiologo italiano, nella felice transizione tra l’Ottocento e il Novecento, è Luigi Luciani, sia pure ex aequo con il torinese Angelo Mosso. Classe 1840, pesarese, figlio di intellettuali, Luciani è un fervente patriota e all’idea dell’Italia unita dedica, giovanissimo, grandi energie. Gli studi di medicina li compie fra Bologna e Napoli, dove si reca per motivi di salute, ma li ultima a Bologna, dove iniziano le sue ricerche presso il Laboratorio di Fisiologia diretto da Luigi Vella.



Sono i primi passi di una carriera folgorante che lo conduce, nel biennio 1872-1873 a Lipsia, dove il futuro estensore del trattato di Fisiologia dell'uomo, sul quale si formeranno intere generazioni di medici, è allievo del grande Carl Ludwig. In Germania studia in particolare il ciclo cardiaco e mette a punto le registrazioni sul cuore della rana, evidenziando quanto è noto come “Fenomeno di Luciani-Wenckelbach”, ovvero il salto di una sistole dopo un certo numero di sistoli ritmiche, in seguito a legature cardiache parziali tra gli atri e i ventricoli. Rientrato a Bologna, nel 1875 gli viene assegnata la cattedra di Patologia medica generale all’Università di Parma. Cinque anni dopo è a ruolo quale docente di Fisiologia presso l’Università di Siena, indi a Firenze dove sosta per tre anni. La fama non usurpata e l’accortezza di chi decide per il meglio sono gli ingredienti che portano il professor Luciani, nel 1893, a Roma, presso “La Sapienza” della quale diventerà il magnifico rettore. Di particolare importanza i suoi studi sul sistema nervoso centrale, grazie ai quali individuò i tre sintomi chiave delle patologie del cervelletto: astenia, atonia e astasia rientrano, come classificazione, nella cosiddetta Triade di Luciani.



Di grande rilievo nel decennio è anche la figura di Guido Baccelli, romano, medico, parlamentare e più volte ministro (della Pubblica istruzione e dell'Agricoltura). Si interessa di anatomia patologica, essenziale per la comprensione delle malattie, e significative sono le sue innovazioni in ambito di semeiotica: riesce a precisare la sede di ascoltazione dei focolai cardiaci e a formulare la legge in base alla quale “i rumori cardiaci si propagano nella direzione del sangue che li determina”. Nel 1871 i meriti scientifici di Baccelli trovano ampia testimonianza nei suoi scritti: i tre volumi sulla Patologia del cuore e dell'aorta sono un testo fondamentale per i medici dell'epoca. Diagnosta e terapeuta di grande livello, Baccelli legherà il suo nome a svariate tecniche da lui elaborate. Trova un’efficace soluzione per il trattamento del tetano, appronta una mistura antimalarica, elabora l'ossigenoterapia e le prime iniezioni endovenose.

Figura centrale del periodo per il metodo didattico e clinico è Augusto Murri, clinico medico a Bologna dal 1876 al 1916. Gli avversari lo dicono materialista e razionalista in eccesso, mentre egli afferma semplicemente il metodo critico, vale a dire le teorie esposte alla prova dei fatti. Questi ultimi, sostiene Murri, quando sono isolati costituiscono soltanto un sapere rudimentale. È il clinico illuminato che riafferma la scientificità della sua materia, la clinica medica. Occorre, per lui, sviluppare fortemente lo spirito scientifico. Con un distinguo importante: un sapere non in grado di modificare le azioni umane diventerebbe una divertente speculazione. Non la scienza per la scienza, quindi, ma la scienza tutta per l’umanità.

Della biologia che definisce metrica, ma applicata all’occhio clinico, si avvale Achille De Giovanni che la clinica l’intende dapprima come teoria biologica e poi come prassi. Incaricato nel 1871 dell’insegnamento di patologia a Pavia, dal 1878 è clinico medico a Padova, dove elabora la sua opera principale, la Morfologia del corpo umano. Il presupposto del suo lavoro di clinico è che per farlo occorrano doti indagative e osservative che il solo biologo è in grado di esibire, per cultura e indirizzo professionale. Quando fonderà la Lega nazionale contro la tubercolosi, gli verrà riconosciuto d’aver fissato i principi che ispirano la medicina preventiva per poi mettere in atto la terapia più razionale e scientifica.

 

Il Pio luogo degli incurabili ad Abbiategrasso, non lontano da Milano, in teoria non avrebbe mai potuto essere luogo deputato a qualsivoglia scoperta, tantomeno alle investigazioni che porteranno a un premio Nobel per la Medicina, quello conferito a Camillo Golgi nel 1906. Sebbene l’Università di Pavia abbia fatto l’impossibile per rivendicarne la primogenitura, è proprio nel modesto laboratorio di Abbiategrasso, privo di effettivi strumenti d’indagine, che Golgi, medico appena trentenne, ha modo di elaborare la “reazione nera” che rivoluziona il sapere nel settore della neuroanatomia. Costretto, per ristrettezze economiche, a lasciare le sue ricerche all’Università di Pavia, nel 1872 Golgi accetta il ruolo di medico residente agli Incurabili dove, in cucina, improvvisa un laboratorio. Gli bastano un tavolo, un microscopio, qualche bisturi e tante boccette di coloranti. Le indagini messe a punto da Golgi sfociano nella “reazione nera” e nell’“impregnazione argentofila”, con la quale le cellule nervose, con tutti i loro prolungamenti, s’impregnano di un precipitato di cromato d’argento. L’effetto è semplice: le fibre e le cellule nervose, a questo punto colorate di nero, possono essere facilmente studiate al microscopio. Non meno importante il contributo di Golgi alle conoscenze sulla malaria, con la sua descrizione del ciclo che porta il suo nome. E pure la formulazione della legge di Golgi per la quale l’accesso malarico, in termini di gravità, è correlato al numero di parassiti nel sangue. Sua l’evidenza dei meccanismi d’azione del chinino sui parassiti malarici e la loro dose-dipendenza in rapporto allo sviluppo in cui si trovano.

 

 

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Ultimo aggiornamento (Venerdì 25 Marzo 2011 11:11)