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1861-1870: tra colera e tubercolosi

Sport &  Medicina, 150 anni della nostra vita

1861-1870

Tra colera e tubercolosi

 


Nei primi anni dell'Unità d’Italia si tenta di risanare le campagne, dove sono frequenti le cosiddette “febbri intermittenti”. Non si ragiona solo di malaria, le “febbri delle risaie” sono la conseguenza diretta di patologie plurime: si ragiona di reumatismi, tifo e dissenteria che coglie gran parte di chi è costretto con le “gambe a mollo”, le mondine in particolare. Le risaie sono un male necessario del periodo, in particolare al Nord, perché non c'è alternativa a un'agricoltura asfittica che dà ben poco da mangiare a chi vi opera.



Nel giugno 1866 il Parlamento vota una legge sulla risicoltura che, a giudizio del medico toscano Carlo Livi, affida sostanzialmente agli enti locali la disciplina del comparto. Ma tra il profitto d’impresa agricola e la salute di chi ci lavora, che allora si definisce igiene, primeggia costantemente la ragione economica. E i problemi si sommano, per chi lavora con scarse tutele. Al pari della malaria, la tubercolosi non è stimata malattia professionale, anche se i luoghi di lavoro malsani sono sovrabbondanti. Nei cotonifici e nelle cartiere la tubercolosi trova le migliori condizioni di sviluppo e si radica. Nelle cave di granito la “tisi degli scalpellini” cambia nome, si chiama silicosi. Ne riferisce il medico milanese Carlo Leopoldo Rovida nel 1868. Purtroppo la scienza medica del periodo tende ad addebitare tutte le malattie all'ereditarietà, quando invece molte patologie sono diretta conseguenza di alcuni fenomeni: si chiamano urbanizzazione, industrializzazione, “mal di fabbrica”, tutte condizioni poco vivibili per chi fatica a tirare pranzo e cena.

In campo medico il decennio presenta dei bilanci significativi, sembra giunta l’ora della resa dei conti. Si passa dalla medicina osservativa e descrittiva della prima metà dell'Ottocento a quella sperimentale, dalla corsia di ospedale al gabinetto d'analisi, dall'uomo malato all'animale da esperimento. Anche il mezzo terapeutico si modifica: dal preparato galenico si comincia a valutare il principio attivo, clinicamente sperimentato: dalla china al chinino, dall'oppio alla morfina. Prende piede lo sviluppo farmacoterapico che si esalterà nel secolo successivo.

La legge Casati, una delle prime del nuovo Regno d'Italia, disciplina gli studi medici, rimuove arretratezze e intolleranze che avevano depresso la scienza medica nei confronti dei Paesi avanzati come Francia e Germania. Angelo Mosso, torinese, ben noto come medico, ancor più come valente fisiologo, si specializza a Firenze da Schiff, perfeziona le sue competenze a Lipsia presso Ludwig e riporta in patria i frutti del nuovo sapere dando vigore all'Istituto di Fisiologia di Torino che dirigerà a lungo.
Molto deve ad Angelo Mosso la medicina dello sport di cui è stato un precursore, perché ai suoi tempi nessuno o quasi ne sapeva e se ne occupava. Lo sport in quegli anni è familiare ai soli borghesi britannici, gli unici che ne avevano codificati i principi, e ai medici che hanno cura non più dei soli “nobili lombi”, ma anche di quelli dei borghesi.

 


Dopo le due epidemie letali del periodo preunitario – quella degli anni Trenta e quella del triennio 1854-56 – il colera torna a investire il paese nel 1865, si prolunga sino al 1867 e miete non meno di 150 mila vite, un numero di vittime superiore a quello della terza guerra d’indipendenza, ma anche di tutti i conflitti risorgimentali messi assieme. Per l’occasione la campagna anticolera cambia indirizzo, si basa sulla profilassi individuale e molto meno sulle buone norme di profilassi pubblica che sino allora aveva avuto la meglio. La campagna proseguirà sino alla fine degli anni Settanta. Analogamente si fa strada l’esigenza di istruzioni igieniche per il singolo lavoratore anche per i medici più favorevoli alle problematiche sociali.

Nel periodo si mettono in luce due politici, di diversa estrazione, Lanza e Bertani – l’uno della Destra, l’altro della Sinistra, medici entrambi – che confrontano i rispettivi progetti di riforma con il sistema di amministrazione sanitaria impostato nel Paese entro il 1865, tra l’estensione dell’editto piemontese sulla sanità agli Stati preunitari ammessi strada facendo e la promulgazione della legge che, nella prospettiva “liberale” dei governi della Destra, conteneva in margini assai limitati l’intervento pubblico in campo sanitario. Intervento peraltro sottratto agli igienisti e ai medici condotti per destinarlo alla burocrazia dei Comuni, delle Province e dello Stato, con gli effetti immaginabili. Tra i rigorismi apparenti e le reali ipocrisie, i gruppi dirigenti della Destra tardano ad acquisire consapevolezza della complessità dei problemi sanitari e dell’insufficienza delle norme emanate.

 

Nel 1861 Carlo Erba, dapprima farmacista poi industriale chimico-farmaceutico, ipotizza il suo primo grande stabilimento, che sarà edificato nell’allora periferia di Milano e inaugurato il 1° gennaio 1867. Un impianto all'avanguardia dove si producono dal cremortartaro alla gomma arabica e molti estratti naturali quali il rabarbaro, la gialappa, la liquirizia e l'emetina, un alcaloide utilizzato come emetico e in piccole dosi anche come espettorante, estratto dalle radici dell'ipecacuana, oltre all'immancabile tamarindo.

Nel 1863 muore a Gassino Torinese Giovanni Battista Schiapparelli, farmacista e già industriale di successo nel campo farmaceutico-chimico a partire dal 1824. Schiapparelli aveva fondato un primo stabilimento per produrre solfato di chinina cui seguì, in altro insediamento, la produzione di acido solforico. Uomo di grande prestigio, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, Schiapparelli contribuisce alla compilazione della prima Farmacopea italiana.

 

 

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