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1881-1890: il velocipede crea problemi

Sport &  Medicina, 150 anni della nostra vita

1881-1890

Il velocipede crea problemi

 


Negli anni Ottanta dell’Ottocento la promozione dirigistica e paternalistica dell’associazionismo sportivo – ottimo per impartire ai giovani una forma d’istruzione paramilitare – asseconda i principi del liberalismo che incoraggia e supporta l’iniziativa privata, a sostegno dei supremi interessi della patria. Non a caso il governo chiede alle società ginnastiche e di tiro a segno, le prime che si sono date una rete capillare sul territorio, di contribuire al programma educativo nazionale, concedendo loro dei sussidi e la “protezione” delle autorità locali. A queste logiche sfugge, per il momento, il solo mondo del velocipede, che annota uno sviluppo dirompente e disordinato. Con inevitabili contrasti: non tutti amano il “moderno veicolo”, taluni prefetti lo vivono come una possibile turbativa alla vita quotidiana, pubblica e privata. C’è anche chi delinque a bordo di un velocipede e sfugge alla polizia, priva di mezzi efficaci di contrasto. Spesso i poliziotti a cavallo devono fare i conti con i segni d’inquietudine degli equini alla vista dei ciclisti, anche quelli serafici, a passeggio. Un esempio dei provvedimenti dell’epoca lo fornisce la città di Verona che obbliga chi circola in velocipede a indossare al braccio una fascia nera con evidente il numero di serie del veicolo. Una targa rudimentale, la prima di cui si ha notizia.


Il 1884 coincide con la nascita di numerosi sodalizi legati al biciclo, primo fra tutti l’Unione velocipedistica italiana (Uvi) che dà corpo al primo campionato italiano di velocità. L’anno prima era sorta a Milano una delle più gloriose società di ginnastica, la Pro Patria, espressione di alcuni atleti che si riunivano al caffè del Monte Tabor, un tempo luogo di rivoluzionari, dalle parti dei Bastioni di Porta Romana. Anche la Pro Patria si apre al velocipede, veicolo che letteralmente impazza nel capoluogo lombardo. È tempo d’importanti cambiamenti: nel 1885 prende forma la bicicletta com’è pervenuta sino a noi, con il telaio a trapezio, romanticamente definito a fine Ottocento “a forma di diamante”. Tre anni più tardi un geniale inventore scozzese, John Boyd Dunlop, detterà una svolta storica, brevettando gli pneumatici. Avranno enorme fortuna.



L’Uvi nel 1886 organizza la prima edizione della Mostra nazionale ciclistica e nove anni più tardi l’Esposizione internazionale ciclistica. Tutti i livelli sociali sono toccati dalle vicende ciclistiche, nemmeno il clero si esenta. Pur sconsigliato fra gli ecclesiastici, non mancano i casi d’impiego segreto. Curiose le vicende del parroco di Vittuone, alle porte di Milano, Don Luigi Turconi: ravvisando una grande utilità della bicicletta nelle fatiche del suo ministero costituisce un comitato “pro bicicletta” formato da una ventina di sacerdoti, i quali sfidano la censura dell’Autorità ecclesiastica e pubblicano articoli pro bici sui giornali. Il movimento ciclistico si rappresenta al meglio nel settore: delle ventisei testate sportive giornalistiche censite a Milano tra il 1880 e il 1900 ben otto sono dedicate alla bicicletta. Quel che più conta, il mezzo di locomozione si fa via via sempre più accessibile, anche se i prezzi dei primi esemplari sono alla sola portata degli sportsmen, non tanto gentiluomini britannici ma persone agiate che mettono mano al portafogli per provvedersi dell’amato veicolo a due ruote. A fine anni Ottanta per comprare una Raleigh, ambitissima bicicletta britannica, occorrono 600 lire, il salario di un anno di un operaio italiano.

Non di solo ciclismo si nutrono le cronache del decennio, ben povere di contenuti se si guarda al resoconto di una corsa di fantini, in quel di Ancona, pubblicato da L'Adriatico il 31 marzo 1886: “Il concerto cittadino fece per quattro volte il corso suonando e contribuì maggiormente a rendere allegra la festa. La giornata era bellissima e quindi concorso di folla non poteva essere maggiore. Lo spettacolo non diede luogo ad alcuno spiacevole incidente, tutto procedette con perfetto ordine. La gara riuscì ottimamente”.

Si affacciano, nei resoconti, i primi sentimenti nazionali. Con una certa enfasi si registra il successo riportato da Basilio Bartoletti in un incontro di lotta greco-romana che lo oppone, a Milano, al tedesco Michael Graff: “Il gigante proveniente dalla Baviera, due metri di statura per 115 kg di peso, è stato domato dal nostro alfiere, ben più minuto, e all’annuncio del verdetto sul palcoscenico si è manifestato un fanatismo indescrivibile: la vittoria di Bartoletti era la vittoria dell’Italia; la sconfitta del bavarese era la sconfitta dello straniero”.

Nei parchi e nei giardini pubblici di Milano è di moda anche lo “skating”, il pattinaggio, nuovo divertimento che talvolta vede tavolini e avventori travolti dagli incauti o incapaci pattinatori. Aumenta in molti la voglia di partecipare, fioriscono le gare ciclistiche, gli incontri di lotta, di tamburello.

Discorso a parte meritano le corse di cavalli e il loro sviluppo in Italia, negli ultimi vent’anni dell’Ottocento, quando si pongono le basi per l’evoluzione del galoppo, con la pubblicazione dello Stud Book, il libro genealogico dei purosangue, e l’istituzione ufficiale del Derby reale. Nel 1881 nasce il Jockey club italiano, con il compito di promuovere l’allevamento dei purosangue e le corse al galoppo in piano. Nel 1884 all’ippodromo delle Capannelle si svolge il primo Derby capitolino e a Torino nel 1890 cambia lo scenario di corse: tramonta l’ippodromo Gli Amoretti e ne sorge un altro alla Barriera di Orbassano. Le corse al trotto hanno diverso destino. Sino all’Unità d’Italia sono relegate al rango di eventi sussidiari, da disputare in occasione di feste popolari, senza raccolta di gioco, mentre le Società di corse, sul versante del galoppo, gestiscono già le scommesse e la distribuzione delle relative vincite. La situazione si modifica nel 1885, quando l’ex capitano di cavalleria Giuseppe Ballarini propone e realizza la costituzione di una Consociazione ippica italiana e del libro genealogico del trottatore indigeno.

 

 

 

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