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1981-1990: le visite di idoneita'
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Sport &  Medicina, 150 anni della nostra vita

1981-1990

Le visite di idoneità

 


Gli anni Ottanta annotano provvedimenti legislativi che danno nuovo impulso e forza alla medicina dello sport: dapprima lo “status di sportivi professionisti”, che la legge 91/1981 − all’articolo 2 − riconosce ad atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori che operano, dietro compenso, nel contesto delle federazioni affiliate al CONI. Segue, nel febbraio 1982, il decreto ministeriale che disciplina la visita d’idoneità per l’attività sportiva agonistica, una misura che si rende necessaria dopo il decesso di alcuni atleti di vertice, sospette vittime di doping. Il certificato medico-legale d’idoneità è figlio di controlli clinici e strumentali accurati (visita generale, valutazione antropometrica, spirometria, ECG basale, ECG dopo sforzo, esame delle urine), che ogni anno si ripetono. Artefice di quella legge è il professor Leonardo Vecchiet, fondatore e direttore di una delle prime scuole italiane di Medicina dello sport. Un anno dopo viene disciplinata anche la visita d’idoneità per l’attività non agonistica, consentita soltanto agli sportivi “di sana e robusta costituzione”.



Emerge in quel momento il problema del numero dei medici dello sport, largamente insufficiente e, in attesa che le scuole universitarie ne sfornino di nuovi, l’unico salvacondotto utile sono i corsi specifici di tre mesi che equiparano una serie di medici “di famiglia” agli specialisti in medicina dello sport. peraltro ostacola la crescita della disciplina, che smarrisce una serie di opportunità, in particolare sul fronte della ricerca scientifica. La mole enorme di visite che da allora si producono è efficace in prevenzione ma non produce, senza follow-up, evidenze scientifiche in campo epidemiologico. Fanno eccezione gli studi condotti sulla “morte improvvisa” e più in generale sulle cardiopatie aritmogene (grazie alla Scuole padovane di cardiologia e di Medicina dello sport) e quelli sulle sostanze dopanti. Tangibile, in proposito, è il ruolo dell’Istituto di Scienze dello sport di Roma, forse l’unico a dare un contributo sostanziale e continuativo alla scienza attraverso ricercatori di eccellente livello, nel solco di una tradizione che perdura. L’Istituto nasce nel 1984 con tre dipartimenti distinti: Medicina affidata al professor Giorgio Santilli, Fisiologia e Biomeccanica al professor Antonio Dal Monte, Psicologia al professor Adriano Ossicini.

Il secondo dato rilevante, legato alla prevenzione, si connette ai nuovi scenari sociali: negli anni Ottanta la popolazione è più attiva, pratica lo sport a tutte le età, magari senza intenti agonistici. E la tutela di questi soggetti si rivela efficace, in termini di salute, di integrità fisica e psichica dei singoli. Il medico dello sport esprime il suo giudizio con obiettività e chiarezza, in base alle conoscenze scientifiche più aggiornate e dopo aver informato lo sportivo degli eventuali rischi che l’attività sportiva può comportare. Sul fronte degli agonisti è prevista la denuncia alle autorità competenti e all’ordine professionale qualora la decisione del medico di bloccare un atleta incontri difficoltà operative. Il medico, insomma, ha la facoltà e la potestà di fermare anche un atleta famoso alla vigilia o durante un importante impegno agonistico se le condizioni soggettive e oggettive lo rendano necessario.

Negli anni Ottanta la lotta al doping si richiama ai principi deontologici in base ai quali il medico “non deve consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti farmacologici o di altra natura diretti ad alterare le prestazioni di un atleta, in particolare qualora tali interventi agiscano direttamente o indirettamente modificando il naturale equilibrio psico-fisico del soggetto”. In questo settore trova poi pratica applicazione il principio dell’informativa tra colleghi e l’obbligo del medico sportivo di comunicare al medico curante le terapie cui è sottoposto l’atleta. E identica comunicazione deve avvenire tra medico curante e medico dello sport. Si pensi, per esempio, al caso frequente di atleti che assumono farmaci "proibiti" per gli sportivi, ma assolutamente leciti per i "normali cittadini". La mancata comunicazione al medico sportivo può infatti far incorrere l’atleta in provvedimenti disciplinari non meritati. Da ultimo, uno spazio di rilievo si prendono i medici dello sport nei confronti degli "atleti in erba", i soggetti in età evolutiva, anche se la loro tutela in gran parte è affidata alle società che li tesserano.

 

 

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Last Updated (Wednesday, 08 June 2011 14:09)