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1951-1960: si delinea l’ombra del doping
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Sport &  Medicina, 150 anni della nostra vita

1951-1960

Si delinea l'ombra del doping

 


Nel 1952 le palestre scarseggiano e l’educazione fisica, in tutta Italia, si pratica in condizioni di fortuna. Gli insegnanti di educazione fisica decidono di legittimare le loro ambizioni e si muovono con acume. L’Anef, l’associazione che li rappresenta, ottiene dal Ministero della Pubblica istruzione, in via transitoria, un trattamento giuridico ed economico equiparato a quello dei docenti delle scuole medie. La prima conseguenza è la nascita a Roma dell’Isef, istituito presso gli impianti del Foro italiano su iniziativa del professor Gotta, un uomo che va ricordato per il suo impegno. Inutile negarlo, l’Isef è figlio diretto dell'Accademia della Gil (Gioventù italiana del Littorio), ma si adegua alle mutate esigenze politiche: in primis, e non è poco, si confronta in modo democratico. I suoi corsi provvisori durano fino al 7 febbraio 1958, quando la legge n.88, primo firmatario Aldo Moro, ne riconosce la validità quale ente sostitutivo delle Accademie di Roma e Orvieto. Riconfermato il grado universitario, finalmente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, l’Isef è articolato in un corso di studi triennale al cui termine si consegue un diploma che abilita all’insegnamento dell'educazione fisica nella scuola. Le materie d'insegnamento sono divise in due ambiti, quello scientifico-culturale e quello tecnico-addestrativo. Di pari passo, nel 1954 negli Stati Uniti nasce l’American College of Sports Medicine (ACSM) come necessità di strutturare e dare assoluto riconoscimento alle nuove conoscenze che da oltre trent’anni arricchiscono la letteratura scientifica nell’ambito della fisiologia dell’esercizio. La prima Scuola italiana di Specializzazione in Medicina dello sport data 1957 e si deve al professor Rodolfo Margaria, fisiologo a tutti noto. Nel 1959 viene avvicendato al vertice della Federazione medico sportiva italiana Giuseppe La Cava, per dodici anni presidente FMSI, cui si devono notevoli impulsi e l’inquadramento di tre versanti: il contributo scientifico nel campo delle competizioni sportive, il rafforzamento del ruolo sociale della medicina sportiva, la rivisitazione delle conoscenze terapeutiche necessarie nell’affrontare i danni determinati dagli sforzi fisici.

Anche il CONI adegua le sue funzioni alla mutata realtà. Nascono i presupposti per dare vita all’Istituto di Medicina dello sport. Nel 1959 si pensa di coordinare in un unico ambito le attività di ricerca scientifica, la didattica, le pubblicazioni, il controllo della validità, l’attitudine e l’abilità degli atleti di interesse nazionale in funzione della preparazione olimpica, nonché la prevenzione e riabilitazione degli infortuni e l’igiene degli impianti sportivi. L’Istituto di Medicina dello sport viene al mondo a metà del decennio successivo, presso la Scuola centrale del CONI all’Acquacetosa. Commissario ordinatore e poi direttore sarà il professor Antonio Venerando, in quel momento presidente della Federazione medico sportiva italiana. La prima struttura ospita il reparto di Valutazione funzionale dell'atleta, gestito dal professor Antonio Dal Monte, e quello di Ortopedia, guidato dal professor Giorgio Santilli.



Purtroppo negli anni Cinquanta si affacciano le prime ombre di un fenomeno che inficia i principi di lealtà che dovrebbero ispirare lo sport: il doping. All’inizio il termine è protagonista di disquisizioni semantiche che si legano alla marineria olandese ("doop" vale una mistura, una poltiglia, una miscela di cui si avvalevano gli uomini di mare per contrastare la fatica oppure viene da "dope", sostanza densa, liquida, comunque psicotropa) o alle notizie di “siringhe” che venivano usate sui purosangue, sin dal primo Novecento, per modificare l’esito sportivo. Si parlava già allora di corse dopate, tanto che l’espressione “dosi da cavallo” faceva sorridere. In realtà il fenomeno del doping è antico come l’uomo che fa sport: già i greci e i romani impiegavano misture, pozioni, estratti vegetali per vincere le competizioni. Nei tardi anni Cinquanta emergono progressivamente stimolanti di ogni tipo, a partire dagli steroidi anabolizzanti. Seguiranno metodi poi vietati, dall'autoemotrasfusione all’ormone della crescita ad altri peptici, per arrivare oggi al doping genetico.

Dalle Olimpiadi di Roma del 1960 iniziano i controlli antidoping ai quali provvede la FMSI in chiave di tutela della salute, nonché di corretto svolgimento delle competizioni. È l’unica struttura operativa e competente su base nazionale, con distribuzione capillare sul territorio. Non a caso integra o subentra alle strutture pubbliche che successivamente saranno preposte a questo compito repressivo.

 

 

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Last Updated (Thursday, 19 May 2011 12:12)